Come si fa a mettere in fila Platone, Spinoza e Marx, stabilendo una somiglianza di famiglia tra autori che a tutta prima appaiono distanti e privi di ogni parentela? Il fondatore della metafisica e del razionalismo occidentali, l’ebreo maledetto e anti-cartesiano, il materialista rivoluzionario che teorizzò l’assalto al cielo: è davvero un azzardo ipotizzare una simile continuità di pensiero senza contrarre debiti con questo o quel concetto. Bisogna essere veramente coraggiosi e spregiudicati per cogliere connessioni laddove i più percepiscono soltanto il vuoto. Coraggio, spregiudicatezza e una mente liberata capace a sua volta di inventare e di liberare idee. Ecco uno dei doni che Elisa ci consegna e che si fonda non solo sull’audacia della razionalità ma anche sull’abilità di sentire le cose, la loro materialità e i loro corpi. La chiave sta nel meraviglioso platonismo antiplatonico che contrassegna il suo gesto filosofico. «L’auriga non nega il cavallo nero» - quante volte ce l’ha raccontato quel mito splendido ed enigmatico del Fedro che, anziché interpretare come il segno del mentalismo e del conservatorismo di Platone - che pure esistono e qualificano la non linearità di un pensiero grande -, Elisa invita a leggere come lo sforzo dell’autore di trovare una soluzione non disdicevole alla canalizzazione delle pulsioni e dei desideri contenuti nel corpo degli animali umani. Udite, udite: c’è del materialismo nel filosofo di Atene, ed è questo il tratto inconsueto che lo collega ai materialismi dello spinozismo e del marxismo.
La lezione di Elisa per affrontare il disagio individuale e collettivo e dunque per vivere una vita non necessariamente felice ma, più realisticamente e più materialisticamente, il meno infelice possibile consiste nel promuovere lo sviluppo integrale dell’unità psicofisica dell’essere umano. Oltre i dualismi, oltre le sterili coppie oppositive, oltre il riduzionismo. Si tratta di una sfida, è una scommessa che, fino alla telefonata di quel venerdì di fine gennaio, Elisa ha giocato nominando l’Associazione, l’amicizia e la scuola come i luoghi dell’immortalità dello spirito. Un’inguaribile ottimista, che ripone fiducia nella storia e nella natura e che ci invita veramente a fare nostre le parole di André Gorz sulle «miserie del presente» alle quali opporre la «ricchezza del possibile».
Per seguire i suoi consigli e provare a sentirci meno disagiati e anche meno soli, abbiamo deciso di intitolarle la sede di Scholé che dal prossimo 24 aprile si chiamerà Centro Studi Elisa Scali. Nella targa, sotto il nome, abbiamo inserito una citazione sempre tratta dal Fedro platonico, un vecchio proverbio che recita: «I beni degli amici sono comuni». È una decisione che abbiamo preso come Direttivo e che ciascun membro ha pensato per conto suo ma che, con ogni evidenza, ognuno di noi ha maturato sulla base di un sentire comune, di una specie di stile che precede la singola individualità. Un sentire e uno stile che non smettiamo di condividere e che ci accompagnano oggi e sempre nell’agire e nel patire.
Da ora in poi vediamoci a casa, da Elisa.